Didier Lafargue
Dalla via psicologica all’approfondimento
della spiritualità umana
Un’immersione nel mondo degli
dei
3ème Millénaire n. 84 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
Per Carl Gustav Jung, la
psicologia introduce al mondo del divino. La dimensione molto ampia che dà
all’inconscio obbliga l’uomo a mettere in questione la sua vita religiosa.
Che
cosa è la psicologia? In un senso etimologico è lo studio dell’animo umano. Con
l’anima precisamente tocchiamo l’essenziale, perché con lei entriamo in
contatto con il mondo dell’invisibile.
La psicologia ha acquisito oggi un riconoscimento
scientifico, attaccandosi su basi sperimentali a studiare i comportamenti
mentali dell’individuo. Grazie agli sforzi di Freud, è stata attribuita
all’inconscio una nuova importanza. La psicologia del profondo allora è stata
una rivelazione dell’uomo a se stesso, secondo le parole di Jung, dando
l’opportunità di avere un’immagine più autentica della natura umana. La cura
dell’introspezione, la volontà d’essere all’ascolto dei messaggi dati dall’inconscio avevano per effetto di rivelare
all’individuo dei fatti sconosciuti sulla propria persona.
Il contatto con i suoi pazienti aveva dato a Jung una
visione della natura umana uno scadimento in rapporto
alla sua epoca. Aveva sentito tutte le debolezze del suo tempo attraverso i
tanti casi che aveva conosciuto. “La psicologia non deve abbracciare l’anima in
tutta la sua ampiezza, ciò che include filosofia, teologia e molte altre cose
ancora? Di fronte a tutte le filosofie dalle infinite specie, a tutte le
religioni riccamente diversificate, si innalzano,
suprema istanza forse della verità o dell’errore, le cose immutabili dell’anima
umana”, affermava Jung (L’anima e la vita
).
La psicologia infatti può essere un
aiuto certo per l’individuo di fronte ai problemi nuovi generati dal mondo
moderno. In epoche antiche, la vita intera dell’uomo era ritmata dalle
ritualità religiose di cui la chiesa era custode. Ma con la venuta di una certa
decristianizzazione e l’affermazione del materialismo, saltò questo
ordine e l’individuo si trovò isolato e in balia di se stesso. Seguì una
rimessa in questione e delle risposte alle domande che la persona si poneva
poterono essere affrontate con la psicologia del profondo. A questa Jung portò la una impronta particolare.
Psicologia e fondo dell’anima umana.
La sua professione di psicologo aveva consentito a Jung di proporre
idee filosofiche sul mondo in generale e di costruire una concezione
dell’esistenza destinata a insegnare a vivere ai suoi simili. Lì la sua
concezione dell’inconscio doveva distinguersi da quella elaborata
da Freud.
Questo aveva costruito tutto il suo sistema in reazione all’era
vittoriana. Secondo lui l’inconscio era solo personale,
ricettacolo di tutte le pulsioni, essenzialmente di carattere sessuale,
rifiutate dall’individuo. Comportava un carattere malsano di cui l’uomo
non aveva a inorgoglirsi. Più ricco e vasto era
l’inconscio nell’ottica di Jung. Egli aveva costruito
tutta la sua opera sulla base della sua erudizione, della sua esperienza di
psicanalista e di numerosi viaggi da cui trasse molti
insegnamenti delle diverse tradizioni spirituali. Il suo mestiere gli aveva
permesso di occuparsi di esseri diventati nevrotici
per aver trascurato la natura religiosa della loro anima. Infatti
erano venute a vederlo persone perché, avendo ubbidito per tutta la vita a
principi razionali rigidi, si erano a un
tratto confrontate con un vuoto dentro di loro di fronte alle nuove prove della
vita. Jung aveva loro chiesto di raccontare i loro sogni e ne aveva
tratto simboli ricchi di significato, substrato di una via religiosa allora non
presa in conto, che poteva portare ad un rinnovamento della personalità umana.
Così aveva osservato simboli simili a un vecchio o a
un gigante, cioè principi che esprimono l’idea della grandiosa caratteristica
della via divina.
Sosteneva così che, al di là dell’inconscio
personale, esisteva una parte comune a tutti gli individui, costituita da tutte
le esperienze conosciute dall’umanità dalle sue origini e sulla quale poteva
appoggiarsi l’essere umano in caso di crisi. Da quel substrato traggono la loro
origine i racconti, le leggende, le mitologie. I simboli che davano loro un
senso erano il prodotto di ciò che Jung chiamava gli archetipi, comuni a tutta
l’umanità. Questi per Jung erano molto potenti. Come nell’immagine del drago
della tradizione cinese, potevano essere benefici verso la coscienza umana,
dandole forza e ricchezza, ma potevano anche soggiogarla e dominarla se venivano ignorati.
Ambiguità della vita spirituale.
Il desiderio di assimilare quegli archetipi dà tutto il suo
valore all’anima umana. Il sentire di avere un’anima, respiro che ci anima, si
è sempre imposto alla coscienza. La nozione è complessa ed esprime molte
realtà. Per questa ragione certi popoli assegnavano ad ogni uomo molte anime, esprimendo
tanto l’attaccamento alla terra che il desiderio di salire verso il cielo. La
nostra psicologia ritiene che quella tendenza non fa che tradurre la diversità
delle attitudini psicologiche umane. Jung vede nell’anima un ponte, un legame
tra la coscienza e l’inconscio. “Dapprima è un contenuto che appartiene al
soggetto, ma anche al mondo dello spirito, l’inconscio. Per questo l’anima ha
sempre in lei qualcosa di terrestre e di soprannaturale” (Tipi psicologici ). Secondo lui, l’anima è sempre suscettibile di elevazione, una trasformazione che si fa progressivamente
con un’assimilazione sempre più profonda delle ricchezze appartenenti
all’inconscio collettivo.
Il fuoco centrale che dà a quello sforzo
tutto il suo senso è il Sé, punto di approdo di tutti i miti e simboli, Dio nel
più profondo di noi stessi. Quello che giunge a quello stato è diventato “l’essere che una volta
per tutte è in lui stesso, come deve essere. Da qui non diventerà egoista, o
egocentrico, ma compirà semplicemente la sua natura d’essere”. Per Jung
quell’ideale di perfezione rappresentava lo scopo ultimo di ciò che chiamava
individuazione. Non toccava a tutti di intraprendere tale via, che non poteva
essere che di una minoranza. Per chi fosse ben
centrato nel suo contesto culturale, con i suoi riti e le sue tradizioni, per
l’essere che faceva atto d’appartenenza a una Chiesa di cui assumeva
deliberatamente suoi i principi, una tale impresa non aveva ragione d’essere,
poiché era rassicurato in un inquadramento
riconosciuto. Una scelta che non ha ragione d’essere che nella seconda parte
della vita, interesserebbe piuttosto quelli che hanno conosciuto una crisi
grave, fonte di disperazione, che ha bisogno di una rimessa in questione
personale.
Quel fuoco centrale custodisce una forza che non si può imparare che con precauzione con un lungo cammino, quello
conosciuto dai mistici di tutte le religioni. Questi sono stati spesso
considerati con diffidenza dai loro correligionari, perché la via personale
nella quale entravano era ritenuta nociva alla coesione della comunità. Ciò
spiega come il monoteismo abbia messo tanto tempo a
emergere. Dio infatti è una realtà difficile da
accettare e domanda per essere apprezzato molto discernimento. Così in ogni
religione si trova la riflessione sul fatto che non si può oltrepassare e
raggiungere ciò che appartiene all’ambito della divinità misteriosa e nascosta.
Gli Antichi ci hanno trasmesso a questo proposito dei miti particolarmente
evocatori mettendo in guardia contro l’orgoglio, come quello di
Atteone, mutato in bestia per aver sorpreso la dea Diana che faceva il
bagno. Anche Cristo che si è fatto uomo domanda a
Maddalena di non toccarlo. Dunque è detto in tutte le
religioni che si deve rinunciare ad affrontare i misteri della divinità.
Il cervello umano ha dei limiti e a
contemplare Dio troppo da vicino si corre il rischio di perdere la
ragione. Jung cita certi casi in cui i pazienti, persone con la sensazione
improvvisa di essere un guru con conoscenze superiori, siano
destinati a una specie di follia megalomane. Può succedere che il soggetto si
prenda per Dio o per Cristo, come capitò a Nietzsche.
In generale l’idea di Dio può spingere l’uomo al fanatismo,
facendogli commettere tutti gli eccessi in nome di un principio unico al quale
sono sacrificati i suoi valori. Allora Dio è una potenza esterna non
canalizzata dall’individuo, come è successo in tutte
le guerre sante della storia. Lo stesso stato mentale consiste nel cedere a quella energia dando la propria fiducia a un capo
carismatico, un dittatore.
Dio, immagine del Sé, è la più alta figura che può guidare
l’essere umano nella lotta svolta dalla sua coscienza. Il Dio
dell’incontro, che si rivela nell’antico testamento e s’incarna nel nuovo
testamento, porta all’uomo la libertà. Occorre che questo sia capace di essere degno della responsabilità di cui è stato
investito. Ora, volendo assolutamente elevare la coscienza umana, i cristiani
hanno assimilato Dio al solo bene superiore. A differenza del Dio terribile
dell’antico testamento dove il bene e il male coesistono in una stessa unità,
il Dio dei cristiani è infinitamente buono. Dio ha creato tutte le cose buone
in sé e il male non esiste in quanto sostanza, non è
che il risultato del cattivo uso della propria libertà fatto dall’uomo.
Scaricando sull’uomo il peso del male, Dio gli ha imposto un enorme fardello.
Se
l’uomo avesse abbastanza umiltà da assumersi quel carico, potrebbe manifestare
una forte personalità, quella che caratterizza grandi figure, come san
Francesco o san Vincenzo da Paola. Ma se
la debolezza gli impedisce
di rispondere a quel dovere, possono nascere figure meno amabili,
come Savonarola o Torquemada.
Si verificò una volontà di sistematizzare la divisione tra bene e male
e di rifiutare quest’ultimo cacciandolo nelle tenebre dell’inconscio.
Questo da allora fu considerato con diffidenza e vergogna e
gli stregoni furono considerati come i rappresentanti di quella repulsione.
Tutto ciò che poteva minacciare la coesione sociale, simbolo di una coscienza
chiara, era combattuto: gli eretici, gli ebrei, i lebbrosi…Tutte le cacce alle
stregonerie che imperversarono nelle diverse epoche non furono che le tristi
conseguenze del rifiuto a considerare il male oggettivamente in sé, ma
all’immagine dei diavoli scolpiti nelle cattedrali, rigettandolo all’esterno
della propria persona, lasciandosi così soggiogare da lui. Il fatto è che in tutte le
tradizioni occidentali si trova una tendenza a instaurare una dicotomia
all’interno delle cose e a dividerle in
un sistema di valori verso o il bene o il male. La scelta è chiara nelle
posizioni riguardanti gli animali, dove nel Medioevo si tendeva a stabilire una
separazione tre la creature create da Dio, il montone,
il cane, la lepre, il cavallo, la mucca, il toro, e quelle create dal demonio,
il lupo, la volpe, l’asino, la capra, il caprone.
Persistenza del politeismo nell’inconscio.
Quegli eccessi mostrano come l’uomo abbia esitato a lungo ad
attribuire la sua fede a una sola divinità e come Dio
sia stato per molto tempo confinato nei santuari e nelle meditazioni dei
filosofi. Molto prima del giudeo cristianesimo le religioni politeiste avevano
espresso quella prudenza. Secondo Jung, la volontà di credere nell’esistenza di
più dei piuttosto che in uno solo favoriva una più giusta espressione della
diversità psicologica umana
nella misura in cui
impediva che fossero ricacciati nel nostro inconscio aspetti della natura non accettati dalla
coscienza comune. “La nostra vera religione è un monoteismo della coscienza,
uno stato di possesso attraverso la coscienza accompagnato
da una negazione fanatica dell’esistenza di sistemi frammentari autonomi”,
diceva Jung (Dialettica del me e
dell’inconscio ), che diffidava di un’evoluzione alla quale poteva condurre
il culto di un dio unico. Gli dei del paganesimo esprimevano al meglio quei
sistemi. Per gli antichi l’uomo era un individuo sottomesso a
un tutto, un essere inserito in un ordine di cui gli occorreva rispettare le
leggi. Sull’universo Zeus regnava sovrano e si mostrava impietoso verso coloro
che sfuggivano ai suoi principi.
Ogni divinità era l’immagine di una qualità idealizzata dell’essere
umano; nella concezione
del nostro psicologo, il contenuto psichico nutriva la loro
energia. Nella mitologia greco-latina, gli dei hanno gli stessi difetti degli
uomini, così come litigano e si fronteggiano, un modo di esprimere i conflitti
interiori che agitano la natura umana. Questa è fatta in modo che le diverse tendenze che
la caratterizzano si oppongono le une alle altre. Ma
tutte sono ugualmente rappresentate e trovano il loro posto nella psicologia di
ciascuno. La libertà, come doveva portarla all’uomo il Cristo, non esisteva, se
non era quella di accettare l’ordine delle cose. Grande era
la credenza nella fatalità, il destino dell’uomo era inesorabilmente
fissato. Non sollecitato tra il bene e il male, toccava solo all’uomo trovare
in se stesso la verità rendendo possibile la comprensione di questo
universo, in modo da trovarvi il suo posto.
“Conosci te stesso”, diceva
Socrate, questa era la saggezza che proponeva.
Questa rimessa in questione dalla svolta presa dal dogma
cristiano, toccò all’oriente di insegnarcela di nuovo. L’armonia universale, in
particolare tra le diverse tendenze della nostra anima, poteva derivare da una interiorizzazione sempre più grande e su questo punto la
saggezza indiana e i suoi metodi di meditazione potevano aiutarci. Jung insiste
per esempio sulla pratica dello yoga che favorisce l’unità della mente e del
corpo troppo trascurata nel mondo occidentale. Progressivamente la mente trova
il suo cammino verso il gioiello misterioso e nascosto in fondo a se stesso, la
vera dimensione del Sé. “L’europeo ha una scienza della natura e sa stranamente
poche cose sulla sua propria natura, sulla natura che
è in lui. Per l’indiano è un beneficio conoscere un metodo che l’aiuti a conoscere l’onnipotenza della natura dentro di lui
e fuori di lui” (Psicologia e orientalismo ).
E’ l’uomo naturale che Jung vuole realizzare, quello in cui
la coscienza è in intima unione con l’inconscio, al più alto grado con
l’inconscio collettivo, il luogo in cui è più forte il contatto con il mondo
naturale. L’uomo ha allora realizzato la sua unità e la psicologia introduce
alla spiritualità.